Non è sempre facile trovare il lato positivo di una “medaglia”, avete ragione! Certo per un ottimista è una bazzecola, ma per tutti gli altri la ricerca deve iniziare già dall'infanzia , come esercizio intellettuale che si affinerà col tempo. Ed eccoci a noi. Stamani ho provato una gioia immensa nel momento in cui ho sceso le scalette di alluminio della piscina scoperta del mio paese e mi ci sono immersa, poi con una bracciata mi sono allontanata dal bordo e mi sono messa a nuotare a dorso. Questa esperienza me la sognavo da sei mesi. Che ci trovavo di strano e di tanto appagante? Ero, prima, una nuotatrice, facevo due chilometri, tre volte a settimana. Poi mi è stato diagnosticato un cancro al retto e a causa di una stenosi, in parole povere, un restringimento dell'intestino, mi hanno dovuto colostomizzare. In verità la prima cosa che ho chiesto è stata proprio: “Ma poi posso nuotare?”. L'oncologo mi ha guardato meravigliato, forse ha pensato che non avevo capito bene cosa avessi, visto che mi preoccupavo più di fare una vasca che della mia vita. Forse aveva ragione, oppure il nostro cervello a volte non vuole vedere e si attacca a qualcosa che ci procura gioia.

Ovviamente, mi ha detto che la cosa era molto improbabile. Ma io non ci ho fatto caso. L'anno scorso gran parte degli uomini era preoccupata dalla profezia dei Maya che preannunciava la fine del mondo. Io ci ridevo sopra pensando a tutte le profezie passate che poi non si erano proprio avverate, ma in questo caso avevo torto. Il 2012 per me è stato un anno veramente infausto cominciato con la frattura al femore di mia madre e proseguita con quella di mio nipote e di una mia cara amica. Questa mi aveva mandato un sms dicendomi che cadendo dalle scale si era rotta il bacino e la spalla. Purtroppo non le potevo essere d'aiuto perché mi trovavo in Brasile, da mia figlia, ma al ritorno l'andai a visitare e cercai di consolarla come meglio potevo. Sapevo per esperienza personale, perché mi ero fratturata il bacino più di trenta anni prima, che, dopo una inamovibilità di trenta giorni, tutto tornava normale. Certo per la spalla era un altro discorso!! Questo avveniva in aprile e l'otto maggio ero io che le mandavo un sms dicendole che inciampando in casa mi ero fratturata di nuovo il bacino e un polso!!! Non sto a dirvi la mia trafila, ma nella sfortuna sono stata molto coccolata dalle mie amiche che mi portavano da mangiare, neanche fossi la nonna di Cappuccetto Rosso, e da una mia cugina che aveva lasciato tutto per venire a tirami su di morale e non solo. In tempi rapidissimi recuperai la frattura del bacino anche perché il mio compagno è un po' sordo e la notte mi sgolavo per chiamarlo per farmi mettere la padella, quindi ritenni opportuno darmi una smossa e cercare di muovermi con una sedia a rotelle. Certo per il polso fu più dura, ma l'ora che passavo con la fisioterapista era molto divertente. Avevamo scoperto molti interessi in comune. Poi, uscita dalla fisioterapia, andavo a nuotare per un'ora con l’amica di cui sopra che riabilitava la spalla. Ci facevamo i complimenti a vicenda per i progressi e nello stesso tempo ci sostenevamo psicologicamente. Vi devo dire che la condivisione amicale è proprio una bella cosa! In breve anche il polso fu riabilitato e pensavo che avrei potuto finalmente stare tranquilla. In verità non fu proprio così. Avevo già da un po' di mesi problemi intestinali. Ero andata più volte dal mio proctologo, lo definisco “mio” perché lo conoscevo da diversi anni, mi aveva operato di emorroidi e facevo sempre controlli di routine. Avevo una fiducia cieca in lui, anche perché aveva una buona fama. Vi dicevo che andavo da lui perché già da diversi mesi avevo i sintomi di una mia ex studentessa che , giovanissima era morta di tumore pochi mesi prima. E alla mia domanda: “Dottore, non è che ho un tumore?” - Mi rispondeva rassicurandomi: “Lo escludo al cento per cento. Lei è ipocondriaca!”.

Siccome tante mie amiche soffrono di depressione ho pensato che, nonostante fossi una persona solare e ottimista, anch'io potevo essere non esente dal male “oscuro”. L'aspetto positivo della situazione era che finalmente capivo fino in fondo che cosa volesse dire essere depressi e mi veniva da ridere pensando alla canzone di Modugno “Meraviglioso”. I versi dicono: “Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto, ti hanno inventato il sole, la vita, l'amoreeeee”. Quando sei depresso non ti frega proprio di niente, stai male e desideri morire. Io mi sentivo così e attribuivo questo stato al fatto che mia madre stesse male nonostante due interventi. Anche il mio stato di salute, il fatto che non andassi mai al bagno e avessi continui sanguinamenti non mi rasserenava affatto. Diciamo, per fortuna, che ad agosto avevo avuto una bellissima notizia: sarei diventata nonna ad aprile. Alla fine di settembre tornai dal proctologo perché stavo male e in più avevo una ghiandola all'inguine. Non si allarmò neanche quando gli dissi che avevo perso otto chili. Mi rassicurò e mi consigliò di andare a fare un viaggio. Seguii il suo consiglio alla lettera e partii col mio compagno per i parchi americani. Un viaggio che prendeva il via da San Francisco e, attraversando i parchi nazionali di cinque stati, arrivava a New York. Il tutto durava ventitré giorni. Nel frattempo prendevo uno psicofarmaco e ovviamente me lo ero portato negli USA. I primi giorni del viaggio furono molto duri, ma dopo aver abbracciato le millenarie sequoie giganti incominciai a stare meglio e a godermi le meraviglie della natura. Avevo letto ne “La profezia di Celestino” che gli alberi ti danno energia, pensate ad un albero alto sessanta metri che può fare! Vi dirò di più, quando salii sull'elicottero che sorvolava il Gran Canyon, mi rifiutai di prendere il Lexotan, volevo essere viva, volevo provare l'emozione del volo e del paesaggio mozzafiato che si stendeva sotto di me. Fu un'esperienza indimenticabile. Man mano che il tempo passava ero sempre più pimpante e galvanizzata, ma, la sera, davanti a quelle belle bisteccone americane provavo un senso di insofferenza e per mandarle giù facevo i salti mortali. Nel frattempo avevo deciso che al ritorno in Italia mi sarei fatta un check-up e avrei sentito un altro proctologo. La mia ghiandola era lievitata e mi dava molto fastidio quando camminavo. Un tarlo mi rodeva nel cervello, non mi sentivo bene! Tornammo dal meraviglioso viaggio di sabato, alla fine di ottobre e la domenica fui invitata a cena da un mio carissimo amico, medico nefrologo. Gli feci vedere la ghiandola e lui mi consigliò di fare al più presto un'ecografia. Telefonai la domenica stessa ad un mio amico che le faceva e mi dette subito l'appuntamento per il lunedì mattina. La ghiandola era diventata di tre centimetri e la faccia del mio amico ecografista, anche se sorridente, mascherava preoccupazione. La cosa non mi rassicurava affatto anche se diceva: “Adonella, stai tranquilla! Per fortuna la milza ha le misure normali!”. Non ero tranquilla per niente, soprattutto quando l'amico nefrologo, avvisato da quest’ultimo, aveva contattato un ematologo che mi prescrisse subito una serie di analisi e per metà mese anche la Tac. Per farla breve “ grazie” all'ago aspirato mi diagnosticarono un carcinoma squamoso nell’ano- retto e nel linfonodo inguinale. Vi chiederete come ho reagito? Come un naufrago che sta affogando. Subito dopo è venuto fuori l'aspetto pratico del mio carattere. Ho chiamato mio figlio, gli ho spiegato tutta la mia situazione finanziaria in modo tale che alla mia morte fosse tutto più facile. Dopo aver fatto gli accertamenti all'ospedale tutti i medici preposti si erano riuniti per analizzare il mio caso per decidere sul da farsi. Così venerdì 7 dicembre fui convocata dall'oncologo che era il primario della radioterapia e mi spiegò cosa avrei dovuto fare e a che cosa mi avrebbero sottoposto. Per prima cosa avrei dovuto fare un'operazione di colostomia d'urgenza in quanto la radioterapia avrebbe potuto occludermi completamente l'intestino e in quel caso avrei dovuto operarmi senza indugi con tutte le relative conseguenze.

“Bisogna iniziare subito la terapia, ha già perso troppo tempo!”- mi disse. Solo più tardi appresi che si era messo le mani nei capelli nel vedere la mia situazione. Il medico fu così convincente che il lunedì mattina stavo già aspettando che mi portassero in sala operatoria. Stranamente ero serena. Il giorno prima mi ero fatta fotografare l'addome nudo per ricordare come ero, in più avevo mandato un messaggio di saluto a tutti i miei amici di Facebook. Non sapevo come sarebbe andata a finire! Ovviamente prima del ricovero telefonai al “mio” proctologo ed esordii con un tono canzonatorio: “Sono Adonella G. Si ricorda di me? Quella che era ipocondriaca! Domani vado a mettermi la sacca perché ho un tumore all'intestino”. Lui stette zitto per qualche secondo, poi: “Ma lei non ha fatto una colonscopia?”. E io: “Veramente il medico era lei, non era lei che avrebbe dovuto prescrivermela?”. Pensate che situazione assurda, nonostante lui non me l'avesse mai richiesta avevo preso l'iniziativa da sola e l'avevo prenotata e avrei dovuta farla nei mesi successivi. Lo salutai civilmente e cancellai tutti i suoi numeri da ogni agenda. Sfogarmi e trattarlo come forse si sarebbe meritato non avrebbe cambiato le cose. Col mio comportamento volevo che si sentisse un incapace e superficiale e credo di aver raggiunto lo scopo. Quando mi risvegliai, dopo l'operazione, nel letto d'ospedale, la prima cosa fu quella di andare a vedere cosa mi era successo. Guardai quella sacchetta trasparente che pendeva dal mio stomaco, non pensavo che il colon passasse così in alto. Non mi sentivo deturpata, anzi; pensavo che quella stomia avrebbe permesso di salvarmi la vita. Dovevo affrontare la radio e la chemio per ammazzare il mio Estragone, così avevo chiamato il mio cancro, e questa nuova situazione avrebbe facilitato il tutto. Ero stata più di un anno a bere tisane, mangiare yogurt con il bifidus a farmi clisteri e rimanere spossata per giorni sotto l'effetto dei lassativi che il pensiero che ora tutto si sarebbe svolto senza tutti quegli interventi mi rasserenava. Ma la cosa che mi preoccupò fu proprio che per tre giorni la sacca rimase vuota. Ma ecco arrivare il mio primo angelo, una certa Paola, un'infermiera preposta all'aiuto dei pazienti stomizzati. Con piglio deciso e rassicurante mi disse che mi avrebbe dato un preparato che avrebbe stimolato il mio colon e che il giorno dopo mi avrebbe insegnato come cambiare la sacchetta. La pozione fece effetto, quindi potevo essere dimessa. A questo punto lei mi fece la prima lezione di come togliere e mettere una sacca. Non sembrava complicato. Con me c'era anche il mio compagno che non perdeva neanche una sua parola o un suo gesto. Al di là dell'aiuto materiale, Paola mi disse che aveva tanti pazienti, di tutte le età e che moltissimi di loro convivevano con la stomia in perfetta sintonia. C'era chi aveva scalato montagne di ottomila metri, chi nuotava, chi faceva tutto quello che faceva prima dell'operazione. Mi disse inoltre che lo spirito giusto avrebbe contribuito notevolmente al raggiungimento di uno stato di “normalità”. Questo discorso aveva toccato le corde giuste, non potevo farmi abbattere da una stupida sacca, avrei dimostrato a me stessa che la mia gioia di vivere, la mia vitalità e il mio buonumore non potevano essere distrutti o penalizzati da questa esperienza. Io ero sempre la donna di prima, allegra, scanzonata e per diversi aspetti affascinante. Sì, la donna che era in me, stava lì e non poteva essere messa da parte. Quando salutai Paola l’abbracciai.

“Non ti preoccupare, ti sarò sempre vicina. Questo è il numero del mio cellulare, puoi chiamarmi quando vuoi. Io ci sarò sempre. E poi tu sei forte!! Hai una bella grinta!”. E fu veramente così, lei mi è sempre stata vicino e mi ha aiutato anche in momenti difficili che poi ovviamente sono venuti.

Lungo la strada di ritorno il mio compagno mi aprì il cuore, era disperato, sentiva la sua vita sconvolta (a chi lo diceva!): “Eravamo felici, non ci mancava nulla e ora?”. Fui io a consolarlo: “Pensa che bella vita abbiamo fatto finora, quanto è stato importante e incredibile il nostro amore. C'è gente che non ha, in tutta la vita, neanche una parte della nostrafelicità.Quindi accontentiamoci e poi... mica è detto. Nessuno sa cosa la vita riserva!”. Tornata a casa, non mi sentivo menomata, anzi coinvolgevo tutte le persone che mi conoscevano per avvisarli che mi avevano messo la sacca. Io ci scherzavo sopra, ma gli altri forse avranno avuto pietà di me. Ma meglio una sacca che altre disgrazie! Il mio problema doveva essere il tumore non la sacca! Proprio mentre stavo ricoverata, mia madre si sottoponeva all'ennesimo intervento, questa volta le dovevano applicare una protesi sia all'anca sia al femore. Non le avevo detto nulla della mia malattia e quindi ci rimase male quando non l'andai a trovare in clinica. Le dissi che stavo facendo degli accertamenti all'ospedale. Questo a lei bastò. Tornata a casa , dopo due giorni, ebbi la bellissima sorpresa dell'arrivo di mia figlia. Sì perché mia figlia vive con la sua famiglia a San Paolo, in Brasile. Aveva lasciato la sua bambina di tre anni per correre al mio capezzale.

Nel frattempo dovevamo cambiare la sacca e all'inizio l'operazione non sembrò così facile. Il mio compagno era preposto alla sostituzione. In effetti a me faceva un po' schifo e un po' senso e mi meravigliavo che invece lui si adoperasse in tal senso. Se me lo avessero detto non ci avrei mai creduto. Paolo che con amore mi metteva la sacca con tutto quello che la cosa implicava. Eravamo veramente complici. Mi ci erano voluti più di vent'anni di convivenza per capirlo! Nel frattempo facevamo anche gli esperimenti per vedere quale sacca fosse più adatta alle mie esigenze. Avevo contattato una ditta e le consulenti mi davano molti consigli e mi facevano sentire come una persona speciale di cui farsi carico. Mi avevano mandato salviette protettive, varie tipologie di sacche e quant’altro in tempi rapidissimi.

A una settimana dall'operazione mi ricoverai per iniziare il primo ciclo di chemio e radioterapia. Mi chiamò l'ospedale mi disse di presentarmi al reparto di oncologia alle tre. Avevo poche ore per organizzarmi, da una parte non vedevo l'ora di iniziare la terapia, dall'altra avevo paura. In quei momenti terribili mi furono vicini il mio compagno e mia figlia. Lei si prese cura di me come fossi una bambina: i ruoli si erano invertiti! Mi rassicurò facendomi vedere l'aspetto positivo, prima iniziavo e prima guarivo. Partii serena. Arrivata in ospedale venne un medico a farmi l'anamnesi e alla domanda se avevo subito recentemente delle operazioni, risposi prontamente: “No”.

Allora mi guardò e mi disse: “Ma lei non ha una colostomia?”. E io: “Ah sì, me ne ero dimenticata!”. Ve lo giuro, io non la vedevo come un'operazione, ma come un evento naturale. In quella settimana le cose belle si alternavano alle brutte. Certo stare attaccata 24 ore su 24 alla flebo della chemio non era piacevole, ma, dall'altra, non avevo effetti collaterali. Vedere gli altri degenti soffrire non migliorava lo stato d'animo, ma essere coccolata da mia figlia era appagante. Ma anche durante il ricovero fui protagonista di una scenetta divertente. Per passare il tempo mi ero portata un libro di Amado “Donna Flores e i suoi due mariti”. Sono una grande lettrice e questo autore brasiliano mi piace particolarmente. Mentre ero intenta nella lettura ecco che venne a trovarmi mio marito con mio figlio, dopo un po' arrivò anche il mio compagno. I due si salutarono, si baciarono e si abbracciarono e io lì a guardare la scena. Mi misi a ridere sotto i baffi! Non sarò pure io come donna Flores? Mia figlia ritornò in Brasile e io il giorno dopo che era la vigilia di Natale tornai a casa. Certo il distacco fu doloroso, ma io vedo il bicchiere mezzo pieno e fui felice e grata di aver trascorso con lei una settimana anche se in quelle circostanze. Data la situazione che cosa avrei potuto desiderare di più? Festeggiai il Natale con i miei e per me fu una vera festa! Dopo un mese, seconda settimana di chemio. Il tempo passò più lentamente anche perché questa volta non c'era mia figlia, ma tornò mio marito e mi vennero a trovare le amiche che mi portarono un po' di leccornie. In verità ero provata e dolorante, ma pensavo che quella mistura di farmaci stava distruggendo il mio Estragone!

Alla fine di febbraio terminai tutta la terapia. Ora dovevo solo aspettare, così mi dissero i medici. Vorrei spendere qualche parola anche per un altro angelo che ho incontrato nel reparto di radioterapia. Lì l'ambiente è familiare, ti chiamano per nome, ti aiutano psicologicamente, ma tra tutti un'infermiera, Alessandra si prese cura di me sia fisicamente che moralmente. Lei era preposta alle mie medicazioni. Infatti la radio a lungo andare ti ustiona, poiché io la facevo sulle mucose, le reazioni furono abnormi. Non entro nei particolari, ma Alessandra ogni giorno mentre mi toglieva la pelle morta mi diceva: “Sta andando benissimo, il tessuto è poco rovinato, ti riprenderai prestissimo! Sei stata fortunata perché ho visto di peggio! Sono sicura che andrà tutto bene”. Il tutto accompagnato da abbracci e da baci e da sorrisi. Ma chi ha detto che la sanità è un casino? Forse la sanità, ma non le persone che scelgono col cuore di stare a contatto dei malati. Io ho trovato in questo doloroso cammino, persone eccezionali che mi hanno supportato, consolato, rasserenato e dato molta forza ed energia per proseguire. In quel periodo mi sono tornate alla mente le parole dell'oncologo: “Signora si prepari. Sarà molto pesante!”. Io allora non capii, ma alla fine di febbraio, incontrandolo durante i vari controlli, gli dissi che solo allora avevo compreso la parola “pesante” e che aveva ragione. Glielo dissi col sorriso sulle labbra mentre camminavo come una che è stata violentata. Anche lui mi disse: “Lei signora è forte!”. A me piace molto viaggiare, a sessanta anni sono arrivata fino in Australia e in Tasmania. Viaggio per tanti motivi, uno dei quali è conoscermi, capire come sono, beh in questi mesi mi sono conosciuta molto anche se il viaggio era a chilometri zero. Non avrei mai pensato di reagire così mi sono sentita felice ogni giorno. Ero felice se stavo meglio, se riprendevo peso, se i miei ex alunni mi venivano a trovare, se mi mandavano sms con gli auguri e i saluti, se le mie amiche organizzavano pranzi o cene per me o mi portavano cose cucinate per non farmi stancare o mi accompagnavano a fare la radio. Ero felice quando le mie amiche mi portavano a fare shopping o al cinema o quando qualche persona conosciuta nei viaggi mi faceva una telefonata per dimostrarmi affetto. E poi i tanti amici che avevo perso per strada che mi chiamavano per dirmi che mi avevano nel cuore. Insomma è vero che stavo male, ma intorno a me c'era tanto amore che mi faceva sentire bene.Un'altra esperienza gratificante fu il giorno che diventai autosufficiente, della serie che mi misi la sacca da sola. Sono passati alcuni mesi e sono diventata bravissima. Le prime volte si staccava ed era un problema, ora invece al 99% non ho difficoltà e quando mi capita qualche incidente di percorso mi sento come la mia nipotina a cui viene cambiato il pannolino... anch'io sono tornata bambina! Tra i miei interessi sportivi c’era anche il camminare ogni giorno e fare cinque chilometri. È stato molto entusiasmante la prima volta che ho ricominciato a camminare, all’inizio trecento metri, che bello non ero stanca! Poi dopo un paio di giorni seicento, fino ad arrivare ad oggi che percorro tre chilometri. Sono certa che prima o poi riuscirò a fare il percorso per andare a piedi a Santiago de Compostela, ah ah ah!

E che dire la prima volta che ho fatto la doccia senza sacca? All'inizio vedere il mio stoma lì rosseggiante e ammiccante mi faceva un certo effetto, ora lo tocco con le mani e me lo lavo. A volte mi rivolgo a lui e lo prendo in giro! Certo che se qualcuno mi sentisse mi prenderebbe per matta! Ad aprile ho conosciuto la mia nuova nipotina e tenerla tra le braccia è stata un'emozione fantastica tanto più che a dicembre avevo pensato che avrei potuto non provare questa gioia! La felicità ha compensato e vanificato, in un attimo, tutti i momenti più drammatici! Siccome, a volte, le disgrazie non vengono mai sole, purtroppo oltre al mio fiore nello stomaco mi è venuta anche un'ernia e molto spesso il mio fiore diventa enorme, ma il mio angelo, Paola, mi ha suggerito una cintura di contenimento. Per fortuna che a tutto c'è rimedio! Paola non si è smentita, mi sta molto vicino. Ogni volta che la chiamo non solo mi risponde affettuosamente, ma mi risolve sempre il problema che le sottopongo. Quando sono andata a nuotare le ho inviato un messaggio: “Ho fatto a nuoto seicento metri e sono felice!”. Mi ha risposto: “Adonella sei grande!”. Ed io, modestia a parte, ci credo!

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